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San Giuseppe a Santa Croce Camerina 

Leggenda narra che fu ritrovata  la prua di un battello spagnolo, naufragata nelle coste di Scoglietti, e fu subito contesa da tutte i paesi vicini, ma la prua era molto pesante e tutti tentarono di accaparrarsene.

I santacrocesi furono gli unici che poterono sollevarla perché si era resa leggere alle proprie braccia.

Sulla strada del ritorno passarono per C.da San Martino dove  il Don Guglielmo Vitale (che diventerà I Barone di Corchigliato) aveva fatto costruire vicino alle sue tenute, una fontana “abbiviratura di San Martino”, lì si fermarono per ristorarsi e l’acqua della sorgente del campo dietro stante divenne vino.

Arrivati al paese fu gran festa e la prua venne affidata al maestro Salvatore Bagnasco che le dedicò la sua arte di intagliatore ultimando la statua  nel 1819, e da allora custodita nella Chiesa Madre.

Al Palazzo Vitale Ciarcià sito in Viale della Repubblica n° 5, alle spalle della Chiesa Madre, il Barone Vitale dedico a San Giuseppe una stanza, dove c’ era l’altare consacrato, infatti per legge vaticana ogni casata poteva tenersene uno, ma quando la figlia del Barone, la Baronessa Giovanna Vitale, sposò Raffaele Ciarcià sindaco di Comiso, questi decisero di mantenere l'altare al palazzo di Comiso,  quindi quello di Santa Croce  fu dismesso e aperta  un'ulteriore porta sul salone. Il soffitto della stanza oggi integro porta affreschi in onore del Santo.

Il Barone Guglielmo Vitale era un devoto oltre che alla Patrona Palermitana Santa Rosalia voluta dai Celesti, soprattutto a  San Giuseppe.

Divenuto Barone  nel 1806 fece incidere un epigrafe in ricordo dell’importanza della fontana San Martino.

Alla sua morte nel 1832, aperto il testamento,  le sue ultime volontà erano quelle di essere emulato sotto l’altare di San Giuseppe nella Chiesa Madre, ed istruì il sacerdote Don Giuseppe Balestrieri quale esecutore del legato per la celebrazione della novena e della feste del glorioso Patriarca San Giuseppe .

La celebrazione della festa di San Giuseppe risale infatti al 1832, quando il Barone Guglielmo Vitale, lasciò alla Chiesa Madre la rendita di tre vignali per solennizzare la festa del Patriarca. In questa occasione si preparavano grandi tavolate, le cosiddette “Cene”, che ancora oggi i fedeli offrono al nostro amato Santo per devozione o grazia ricevuta.

Su una coperta variopinta, che fa da cornice alla tavolata, si fissano delle arance amare e dei limoni. Al centro si sistema un piccolo altare sul quale viene posto un quadro raffigurante la Sacra Famiglia, davanti al quale viene acceso una lampada ad olio “a lampa” e ai lati “u lauri” il grano fatto germogliare al buio. La tavola viene imbandita con semplicità: piatti caratteristici come “baccalà”, “polpette di riso”, “frittate agli asparagi”, “pastizzi” di spinaci e uva passa, vari tipi di biscotti e dolci come “cubaita”, “torrone”, “scaurati”,”cicirieddi”,”mastazzola”, “mustata”, primizie ortaggi e fiori profumati quali “fresia e balicu”. L’elemento principale della tavola è il Pane di San Giuseppe, detto anche “pani pulitu”, di diverse e particolari forme simboliche, lavorato e decorato da mani abili ed esperte, entrato a far parte dei beni immateriali della Regione Sicilia con decreto n.8184 del 4 Novembre 2005. Viene servita ai tre Santi la Tipica Pasta di San Giuseppe: “a principissedda”.

 

I simboli della cena

 

“I Ucciddati”: l’uguaglianza tra gli uomini;

 

“A Spera” : l’ostensorio;

 

“U Vastuni fiorito” : la regalità del Santo;

 

“A Varva”: il volto del Santo;

 

“S. G.” sono le iniziali del Santo.

 

L’Acqua: la grazia ricevuta con il battesimo.

 

Il Vino: la benedizione di Dio al lavoro degli uomini.

 

L’Acqua unita al Vino è segno della nostra unione a Gesù Cristo .

 

A Lampa : la fede.

 

U’ Lauri (grano) rappresenta il lavoro umano.

 

Le Arance amare e i Limoni rappresentano le avversità della vita.

 

Le Arance Dolci ci invitano ad avere speranza e fiducia.

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